"Senza scrittura non saremmo niente non avremmo coscienza di noi stessi", dice Alfredo Rapetti. E non a caso la parola è la radice comune delle sue due professioni, di autore di canzoni e di pittore. Utilizzando nelle sue tele la tecnica della puntasecca, Rapetti restituisce valore all’atto dello scrivere a mano. I suoi “geroglifici”, segni destrutturati che campeggiano al centro delle opere monocrome in un ordine non immediatamente leggibile, sono quasi incisioni sulla pellicola pittorica e creano un alfabeto personalissimo ma allo stesso tempo universale, dove la parola è apparentemente svuotata di ogni senso e della sua funzione originaria, ma in cui acquisisce in realtà una valenza universale. Se viene dato loro il giusto peso, le parole sanno ricostruire significati nascosti, dettati dalla capacità di immedesimazione del fruitore nel momento in cui legge l’opera. Come nella pittura, così nel gioiello l’artista riparte dal significante per dare vita ad un alfabeto inusitato e personale, servendosi di effetti grafici diversi (lucido/opaco, piatto/sporgente) e delle combinazioni rese possibili dalle coppie (orecchini, gemelli,..) per ricreare anche nella tridimensione un linguaggio plasmato ex novo: oltre ai giochi linguistici, anche la presenza fisica della persona crea ulteriore spaesamento fra significato/significante. Basta così indossare ai due lobi le lettere I e O per riscoprire improvvisamente la centralità del proprio essere; o ancora, ruotando il polso, si riesce ad identificare la parola “anima” in mezzo ad un insieme apparentemente casuale di lettere. Liberato dalla gravità della sua primitiva funzione, il segno grafico diventa anche nel gioiello un veicolo emozionale per chi ha la sensibilità di leggervi il potere nascosto.